“A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca” diceva uno che in tal senso la sapeva abbastanza lunga. E dunque, puntuali come l’influenza, vengono fuori notizie, con tanto di titoloni “rumorosi” atti a dare carburante alle solite campagne denigratorie verso quei criminali incalliti dei dipendenti pubblici, il cui unico scopo pare ormai essere, nel sentire comune, quello di fregare il prossimo, e di conseguenza lo stipendio.
Così assistiamo increduli all’ennesimo articolo secondo cui i dipendenti ministeriali si sarebbero assentati, nel corso del 2015 per una giornata ogni 5 lavorative, con un triste primato che apparterrebbe proprio ai lavoratori del nostro ministero cioè il 32% (un giorno su tre secondo l’articolista). Il tutto, guarda caso, proprio nel pieno della stagione contrattuale, a seguito della quale sono in discussione in Parlamento le modifiche al D. Lgs 165/2001 prodromiche al rinnovo degli accordi per la P.A., atteso ormai da quasi otto anni. E visto che al Ministro della Funzione Pubblica interessa enfatizzare solo quei provvedimenti che renderebbero più aspra la normativa in tema di assenze anziché concentrarsi su quelli che andrebbero realmente a migliorare l’efficienza e la qualità del lavoro pubblico, pubblicare dati del genere equivale, per costoro, a mettere il cacio sui maccheroni.
Ma il dato più sconfortante, per quanto ci riguarda, è che tali dati provengano proprio dalla Ragioneria Generale dello Stato che, evidentemente per compiacere a qualcuno, si presta a tale gioco al massacro sfornando dati palesemente “drogati”, pur conoscendo esattamente le logiche e le dinamiche che regolano la vita lavorativa del proprio personale.
Perché “drogati”? Perché se si va oltre al titolo e si analizza il contenuto dell’articolo viene fuori che i numeri pubblicati sono “al lordo”, che in parole semplici significa che dentro ci sta tutto, comprese ad esempio le ferie e le maternità, cioè due tipologie che sono impropriamente chiamate assenze, ma che invece costituiscono veri e propri diritti irrinunciabili e costituzionalmente garantiti: si pensi ad esempio che i 32 giorni, tra ferie ed ex festività, da soli costituiscono quasi il 15% delle giornate effettive di lavoro, ed alle quali il dipendente, come detto, non potrebbe rinunciare neanche volendo (e non si capirebbe neanche perché dovrebbero farlo); o che l’astensione obbligatoria dura 5 mesi, e stenteremmo a capirne una accezione negativa in un momento in cui il governo sforna campagne, magari discutibili nei modi, in favore della fertilità. E dunque, scorporati da questi numeri evidentemente fuori contesto, magari poi si scopre che il resto delle assenze rientra in canoni assolutamente fisiologici ed in linea con i dati di tutti gli altri settori lavorativi.
Ma quello che fa davvero infuriare, e che non è oltremodo sopportabile, è la continua insinuazione, più o meno velata, che comunque, quando si tratta di dipendenti pubblici, le assenze siano in qualche modo furbe ed ingiustificate, per non dire fraudolente, tralasciando di evidenziare alcuni fattori, come il fatto che una assenza per malattia è comunque “onerosa”, cioè comporta una riduzione dello stipendio, o che l’età media dei lavoratori sfiori ormai la media di 57 anni di età, oltretutto trascorsi quasi sempre in condizioni ambientali, strutturali e microclimatiche estreme. Se poi esiste, ed è logico che si sia, una percentuale seppur minima di assenteisti cronici al di fuori delle regole, siamo noi i primi ad isolarli poiché riteniamo che siano loro ad alimentare tali campagne mediatiche qualunquiste, recando danno a quella maggioranza silenziosa dei lavoratori pubblici che sono al servizio del cittadino.
Si preoccupasse dunque chi di dovere a porre in essere le condizioni per chiudere al più presto i contratti rispettando gli accordi di novembre, al fine di predisporre, finalmente, le migliori condizioni organizzative ed economiche per riportare la pubblica amministrazione ed i propri dipendenti ai fasti che meritano, invece di sprecare risorse alla ricerca di un consenso mediatico utile al solo scopo di giustificare ancora una volta provvedimenti punitivi ormai anacronistici e fuori dalla realtà. Anzi, consigliamo loro di guardare al proprio interno, alle percentuali di assenza (quasi al 40%) e di efficienza (oltre il 60% dei parlamentari ha un indice di produttività al di sotto della media – Fonte Openpolis) di coloro che, a fronte di stipendi stellari ed odiosi privilegi, lavorano magari un giorno a settimana e contribuiscono (loro sì) allo sfascio di questo Paese, che purtroppo da ormai troppo tempo non indica più la luna ma guarda solamente il dito.
Roma, 14 marzo 2017
IL COORDINAMENTO
P.S. Per chi volesse approfondire: