L’articolo 35 della Costituzione italiana recita testualmente che “La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Cura la formazione e l'elevazione professionale dei lavoratori. Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro.”. Quando dunque ci ostiniamo a ribadire l’importanza che riveste la formazione nella vita lavorativa dei dipendenti tutti, non facciamo altro che riprendere un principio fondamentale contenuto nella nostra Carta Costituzionale e ripreso da tutti gli accordi collettivi nazionali: ricevere una adeguata e permanente formazione è un diritto irrinunciabile dei lavoratori. Chi rifiuta la formazione, o peggio la descrive ai dipendenti come un male o addirittura una vessazione da contrastare senza se e senza ma, riteniamo non faccia un buon servizio a coloro che invece dovrebbero ricevere una adeguata tutela tesa anche a migliorare la qualità del lavoro in senso assoluto. Noi ci siamo sempre battuti, anche in tempi non “sospetti”, affinché chi di dovere ottemperasse ai suoi doveri d’ufficio riguardo i piani formativi, così come la sicurezza, senza la necessità di raccogliere firme o proclamare apposite assemblee sull’onda del malcontento generale, e non perché non ci interessa il parere dei lavoratori, ma proprio perché riteniamo di saper cogliere le loro necessità indipendentemente dai singoli eventi, come può essere l’attuale trattativa sulle progressioni economiche. Certo, per formazione deve intendersi quella prevista dal contratto e disciplinata, per esempio, dalla direttiva sulla formazione dei dipendenti pubblici della Presidenza del Consiglio dei Ministri (30/07/2010 n° 10) e non certo quella sorta di preselezione sui generis elaborata dall’Amministrazione, e sulla quale, è inutile anche ribadirlo, non ci potrà mai essere alcun tipo di confronto perché oggettivamente irricevibile, oltre che palesemente contra legem. Quello che invece facciamo fatica a comprendere è l’atteggiamento posto in essere da un po’ di tempo, da parte di chi ci amministra, che pare connotato da una continua e pervicace volontà, neanche tanto celata, di voler in qualche modo arrecare pregiudizio, o anche solo disagio, al personale, e gli esempi sarebbero molteplici, citando la recente e “rumorosa” vicenda riguardante il tentato scippo del Fua, passando per l’annunciata volontà di riconsiderare unilateralmente la disciplina della assenze riconosciute ai fini del pagamento del trattamento accessorio, fino alla famigerata trattativa sulle progressioni economiche, affrontata con un inspiegabile ostracismo, considerando altresì che si tratta di un semplice passaggio economico oltretutto interamente finanziato con soldi dei lavoratori. Ed il ricorrere ad espressioni, in sede di riunione istituzionale, quali “la carota ed il bastone” coniata, per chi non lo ricordasse, in un certo periodo storico per definire il modo di trattare il popolo “asino”, rappresenta forse la cartina di tornasole di cosa intenda qualcuno per gestione del personale. Anche perché ci sembra che, ad oggi, di bastoni ne abbiamo visti parecchi, ma di carote non ne intravediamo neanche l’ombra…
Roma, 29 marzo 2016 Il Coordinamento