Recentemente, abbiamo ricevuto dall’Amministrazione la bozza del Piano della Formazione per il personale del Ministero dell’Economia e delle Finanze per il triennio 2024/2026. Ciò che ci ha colpito, e non certo positivamente, è la menzione di corsi come quelli di Syllabus ed E-campus come se fossero corsi professionali. Un’offesa per chi spera che la formazione interna possa davvero rispondere a standard di qualità e professionalità, piuttosto che essere una semplice formalità.
Ma la domanda che ci sorge è: qualcuno ha mai davvero chiesto quale sia il fabbisogno formativo dei vari uffici? Cosa serve, concretamente, al personale, sia territoriale che centrale? Non possiamo fare a meno di notare come, in più di un’occasione, i dirigenti rifiutino corsi richiesti dai dipendenti, accusandoli di essere non attinenti, per poi proporre a loro volta corsi altrettanto irrilevanti. Il tutto, con l’evidente intento di dimostrare il proprio potere e la propria autorità, piuttosto che rispondere a reali esigenze formative.
Un altro punto che desta più di una perplessità è l’ambizioso obiettivo di formare 51.000 discenti in tre anni. Si parla di circa due corsi per dipendente all’anno, ma senza specificare la durata né il contenuto concreto di queste formazioni. Ci chiediamo, però: chi parteciperà davvero a questi corsi? È davvero garantito che siano tutti i dipendenti a beneficiarne, o si ripeterà il solito schema, con sempre gli stessi che accedono a queste opportunità?
Prendiamo, per esempio, i corsi SNA. Chi decide chi partecipa? Siamo sicuri che non siano sempre gli stessi a ricevere l’invito? Quali sono i criteri di selezione? Non vogliamo scivolare nella retorica, ma è difficile non notare che, spesso, i corsi sembrano essere riservati a pochi, senza alcuna trasparenza. Eppure, dovrebbero esserci regole chiare che permettano a tutti, indipendentemente dalla posizione, di accedere alle formazioni in modo equo.
Il Piano stesso prevede che “le singole strutture devono garantire un’adeguata partecipazione del personale ai corsi richiesti, favorire la rotazione partecipativa ai percorsi formativi offerti e individuare la corrispondenza tra le competenze possedute e quelle da sviluppare”. Ma in pratica, questi obiettivi sono semplicemente una dichiarazione di intenti vuota. Come verranno applicati questi principi? Chi è veramente responsabile di attuare queste linee guida? Nessuno sembra saperlo. Al contrario, il risultato che vediamo oggi è un’imposizione di corsi inutili, partecipati sotto il ricatto di un ribasso della valutazione.
Questa situazione è inaccettabile. Non solo non esiste alcuna garanzia di una partecipazione effettiva ai corsi necessari, ma la rotazione tra i partecipanti è completamente ignorata. Le stesse persone, che spesso non hanno bisogno di formazione, sono costantemente coinvolte, mentre chi potrebbe realmente trarne beneficio viene lasciato da parte. Il Piano della Formazione, così com'è, non serve a formare il personale, ma a perpetuare un sistema che non risponde alle reali necessità di crescita professionale.
È urgente e fondamentale stabilire regole rigorose e trasparenti, affinché ogni dipendente, senza distinzione, possa partecipare ai corsi in base alle proprie reali necessità di sviluppo. Senza un cambiamento radicale, la formazione rimarrà un mero strumento di facciata, incapace di rispondere alle esigenze di un Ministero che dovrebbe essere all’avanguardia nella valorizzazione delle competenze.
Roma 25 febbraio 2025
Il Coordinamento