DALLA “ROTAZIONE” ALLA “ROTTAMAZIONE” DEI DIRETTORI DELLE CCTT

Dal territorio riceviamo e pubblichiamo:

E’ di pochi giorni fa la nota del DAG che preannuncia la prossima pubblicazione del bando per l’attribuzione degli incarichi “non dirigenziali” di direttore degli Uffici di Segreteria delle Commissioni Tributarie, che interessa bel 64 Uffici periferici (praticamente i due terzi delle segreterie in Italia).

A parte ogni considerazione sui requisiti di ammissione e sulla rigorosa procedura di selezione in cui la Commissione dovrà valutare, per espressa previsione del bando, il curriculum, la motivazione, le conoscenze tecnico professionali e il possesso delle competenze e delle capacità in funzione della complessità dell’incarico da attribuire, rileviamo in particolare dalla nota:

-        che gli incarichi verranno conferiti per una durata di tre anni;

-        che i candidati che hanno consecutivamente rivestito per sei anni l’incarico di direttori presso una Commissione possono partecipare alla selezione solo per essere nominati presso un’altra Commissione;

-        che ai direttori a cui mancano meno di due anni per andare in pensione è in ogni caso preclusa la possibilità di presentare domanda presso qualsiasi Commissione;

-        che il trattamento economico per  i direttori che fossero nominati in altra sede diversa da quella in cui attualmente prestano servizio è quello previsto dai vigenti contratti collettivi integrativi di amministrazione (per la maggior parte € 2.500 lordi l’anno) e non competono altre forme di indennità o rimborso.

Ora da diverso tempo nutriamo seri dubbi sulla logica che ispira alcune scelte del nostro Ministero. Abbiamo già espresso in più occasioni ad esempio tutte le nostre perplessità – e continueremo a farlo – per la colpevole inerzia di un’amministrazione che dal 2011 affida in via esclusiva al proprio personale il compito di liquidare, accertare e riscuotere il contributo unificato su ogni ricorso in entrata,  regolamentando in dettaglio tale attività nella nota annuale di assegnazione degli obiettivi, ma poi,  anche quando lo stesso personale ha svolto puntualmente il proprio lavoro nei tempi e nei modi prescritti, abdica sorprendentemente al suo potere-dovere di valutarlo e magari lo esclude da qualsiasi beneficio per il mancato raggiungimento  di obiettivi assegnati ai giudici.

Ma in questo caso c’è da restare davvero interdetti.

Non possiamo infatti non chiederci:

1)    quale altra categoria di dipendenti – apicali e non –  presso qualsiasi amministrazione sia soggetta non soltanto a valutazione periodica, ma addirittura ad una procedura selettiva ogni tre anni;

2)    se sia ragionevole anche solo ipotizzare che dei funzionari di III area, che svolgono indubbiamente da anni sul territorio mansioni comparabili a quelle dirigenziali, ma  percepiscono mediamente uno stipendio di ca 1800 euro netti mensili, possano accettare: di assumere la responsabilità di un nuovo ufficio distante dalla loro attuale sede di servizio; di accollarsi di conseguenza - e nella maggior parte dei casi a più di cinquant’anni - il disagio e l’onere di viaggiare ogni giorno o trasferirsi in una città diversa da quella in cui vivono; di ricominciare daccapo in un altro ufficio con nuovi colleghi e nuovi giudici; di sottoporsi ad una nuova procedura concorsuale a distanza di tre anni;  e tutto questo, nel migliore dei casi,  in cambio di una riduzione netta del loro stipendio;

3)    se ancora sia ragionevole escludere a priori dalla selezione dei direttori prossimi al pensionamento, che hanno diretto il loro ufficio per anni,  conquistando sul campo una notevole esperienza oltre che la fiducia di utenti, colleghi e giudici;

Ma anche a prescindere da ogni considerazione sul piano della correttezza nei confronti di tanti funzionari che dal 2011 sono stati chiamati a svolgere nuove e più complesse funzioni in uffici con organici sempre più sguarniti ed oggi vengono di fatto messi alla porta anziché gratificati dalla loro amministrazione, qualcuno dovrebbe interrogarsi sui possibili effetti per gli utenti della giustizia tributaria della simultanea sostituzione in periferia di tanti direttori che hanno maturato sul campo anni di esperienza.

E magari chiedersi se tre anni siano sufficienti ad acquisire sul campo la professionalità necessaria per dirigere gli unici uffici giudiziari del nostro paese connotati dalla peculiare doppia caratteristica di  avere in organico dei giudici prioritariamente impegnati in altre occupazioni e di amministrare un processo accessibile a molti utenti non qualificati - siano essi privati cittadini o dipendenti di enti locali - spesso privi di qualsiasi nozione in  materia di contenzioso tributario.

E’ indubbiamente vero che ormai è stato introdotto e talvolta imposto nel nostro ordinamento amministrativo il principio della rotazione come antidoto per la corruzione.

Ma è altrettanto vero che non esiste principio, pur astrattamente condivisibile, che non debba tener conto della concreta realtà in cui dev’essere poi applicato.

Forse sarebbe stato logico ed auspicabile che un’Amministrazione interessata al buon funzionamento dei propri uffici periferici e soprattutto alle esigenze degli utenti di tali uffici, riflettesse quantomeno sull’opportunità di conferire incarichi di più lunga durata – almeno di cinque anni rinnovabili - e magari anche sull’opportunità di incentivare i direttori interessati a spostarsi in altre sedi, riconoscendo un trattamento economico che li indennizzasse quanto meno dei maggiori costi da sostenere e concedesse loro un’effettiva possibilità di scelta.

E forse un’amministrazione che avesse una adeguata conoscenza delle esigenze dei propri uffici e degli utenti e che non fosse troppo distratta da obiettivi che talvolta non hanno più alcuna correlazione con tali esigenze, avrebbe intuito che a queste condizioni si garantisce in realtà solo la “rottamazione” e non la rotazione dei direttori di segreteria – con buona pace del principio di buon andamento della pubblica amministrazione previsto dall’art.97 della nostra costituzione e della tanto sbandierata esigenza di una gestione meritocratica dei pubblici dipendenti  -; e non si sarebbe trincerata dietro il formale ed acritico richiamo alla regola della rotazione per giustificare una scelta che appare non solo illogica ed ingenerosa nei confronti di tanti funzionari che per anni hanno svolto con dedizione e impegno il loro lavoro,  ma soprattutto potenzialmente dannosa per gli utenti stessi della giustizia tributaria.

Ma appunto!

Forse siamo solo degli inguaribili romantici e stiamo parlando di un’Amministrazione che non c’è più,  che conosceva le esigenze dei propri uffici e della collettività e si preoccupava di soddisfare tali  esigenze più che di raggiungere obiettivi autoreferenziali!

Sono convinto che molti di noi si faranno da parte molto volentieri e continueranno a lavorare con l’impegno e la serenità di chi in questi anni non ha mai profuso il proprio impegno in funzione di riconoscimenti provenienti dall’alto, ma ha cercato le proprie gratificazioni nell’apprezzamento degli utenti e nella stima dei colleghi, per dare un senso al proprio lavoro e preservare la propria dignità di funzionario pubblico..

Ci auguriamo persino di essere smentiti dai fatti perché siamo persone responsabili, ma proprio per questo avvertiamo il dovere di richiamare l’attenzione di tutti sulle probabili conseguenze di  scelte che oggi appaiono, forse anche ad alcuni dirigenti del nostro Dicastero,  francamente incomprensibili!

Roma, 3 luglio 2018